Soave Preview decima edizione: non solo un'anteprima

Si è chiusa con un bilancio più che positivo la decima edizione di Soave Preview: 92 le aziende presenti con 200 vini e ottima accoglienza per la nuova formula dell'evento - due  giornate interamente dedicate alla stampa italiana ed estera  e il fine settimana del 20 e 21 maggio con il banco d'assaggio aperto al pubblico.  Come ho più volte scritto, il Soave offre un panorama complesso e la sola anteprima di un'annata - sempre molto precoce - difficilmente riesce a delinearlo.  IL Consorzio del Soave, tra i più attivi d'Italia, offre però già da tempo occasioni di approfondimento su temi che mettono in luce tutte le possibilità espressive del Soave in termini di longevità, storicità, diversità dei terroir di produzione.

L'impressione netta è che quest'anno ci sia stato un positivo "cambio di passo" con un'apertura internazionale più netta e  focus ben riusciti su alcuni termini chiave:  la biodiversità, i cru, la pergola, la mineralità, con una bella serie di visite alle aziende,  seminari e degustazioni, con esperti italiani ed internazionali.

 Il Consorzio di Tutela propone la visione di un "Sistema Soave" ben al di là dei numeri, mettendo al primo posto la peculiarità delle sue origini storiche, dei suoi particolari terroir, e dei diversi stili di produzione. Oggi possiamo dire con certezza e pure con un certo orgoglio che i numeri  "del sistema" contano anche grazie al  lungo lavoro di ricerca e approfondimento  che ne ha sostenuto la crescita e la dinamicità, con risultati importanti come il recente riconoscimento delle colline vitate del Soave come primo paesaggio rurale italiano ad interesse storico, o l'adesione al Protocollo Biodiversity Friend.

Volendo comunque guardare ai numeri,  il Soave conta su 7000 ettari di vigneto; 3000 aziende di varie dimensioni producono 50 milioni di bottiglie all' anno, consumate  per l'80% all' estero e per il 20% in Italia. I mercati esteri sono europei per il 60% (con Germania, Nord Europa e Inghilterra in evidenza) e per il restante 40% extra europei ( con gli U.S.A. che si attestano al 20%). Il valore complessivo della filiera è di 250 milioni di Euro.  

I Cru

La  mappatura dei Cru, nel Soave, ha una lunga storia, a partire dalla zonazione viticola iniziata nel 1998 ed  ancor prima, se consideriamo che gia nel 1995 venne disegnata la "Carta del Soave Classico Vigneto per Vigneto e Cantina per Cantina".  Il prossimo inserimento dei Cru come Menzioni Geografiche Aggiuntive nel disciplinare (leggi questo precedente post) è un traguardo importante. Si sperava di sapere qualcosa di più riguardo ai 64 areali che dovrebbero costituirne il panorama ma all'interno del cortile del Palazzo del Capitano, dove si è svolto l'evento Soave Preview, è stata esposta la mappa del 2012 che ne individua solamente 47.  Nell'attesa, Soave Preview ha proposto alla stampa una degustazione di 12  Soave prodotti in differenti aree e  condotta da Sarah Abbot, Master of Wine e da Alessandro Brizi.  L'estrema variabilità in termini di annate e di metodi produttivi dei diversi Soave presentati,  più  che approfondire le peculiarità dei diversi areali, ha dato un'idea generale delle diverse espressioni ed interpretazioni, utile senza dubbio alla stampa estera che magari per la prima volta visitava il territorio della denominazione.   Solamente il Cru  Castelcerino è stato delineato con completezza, proponendo tre diverse espressioni ed annate ( Soave Corte Adami 2016 -  Soave Cl. Castelcerino 2012 Cantina di Soave - Soave Cl. Cà Visco 2002 Coffele). Comunque, Sarah Abbot, nel suo piacevole intervento, ha detto alcune cose che vale la pena sottolineare:

"il Soave  è un vino edonistico per sua natura";

"tutti i grandi terroir sono una questione di sfumature";

"i cru sono un'espressione gloriosamente individualistica" 

"la varietà, ed anche la diversità di fasce di prezzo non sono un problema: dovete far sì che i vostri eroi del Soave risplendano, nel confronto con i grandi vini bianchi del mondo.

A tutta pergola

Un focus di grande interesse ( e molto riuscito) è stato senza dubbio il seminario " A tutta pergola", condotto da Maurizio Gily, direttore della testata Millevigne, Walter Speller giornalista anglosassone e riferimento per l'Italia di www.jancisrobinson.com,  Attilio Scienza professore di viticoltura all'Università di Milano e Federica Gaiotti del CRA di Conegliano. 

"Nel panorama viticolo italiano" - ha raccontato Maurizio Gily - "la pergola è la forma di allevamento che occupa non più del 12% degli ettari complessivi, ma in alcuni territori la  presenza  è notevole" e, ha ribadito Federica Gaiotti,  "è percepito come un fattore di tradizione, tipicità e qualità - quest'ultima intesa sia come qualità diretta del prodotto vino, sia come qualità indiretta legata alla bellezza del paesaggio."  É questo il caso della Valpolicella dove le pergole - spesso sorrette dai tradizionali muretti a secco (marogne)- occupano l'80% della superficie vitata, e del Soave, dove raggiungono l'85%. Esistono comunque diversi esempi del legame storico tra la pergola e una viticoltura a carattere familiare (piccole proprietà dove il lavoro in vigna è tutto manuale). Oltre che nel veronese, troviamo sistemi a pergola in Trentino, in Alto Adige, nel Nord Piemonte (il maggiorino nel novarese), in Emilia Romagna, in Valle d'Aosta, in Abruzzo, nel nord della Puglia e in Campania ( le tennecchie irpine).

Attilio Scienza ha narrato la storia della domesticazione di quella liana che è la vite selvatica e quindi dell'evoluzione delle varie forme di "tutoraggio" . La pergola è antichissima, come testimoniano immagini dell'antica civiltà egizia; i Romani la portarono in Italia,  ornandone i loro giardini con piante di uva da tavola, ma furono poi i Reti ad adattare definitivamente la pergola alla vite con le "pergole retiche". La storia dimostra che la pergola è il sistema produttivo da sempre più vicino all'uomo e alla sua casa, integrata com'era nell'orto e nel giardino.

Il sistema a spalliera in Italia nasce tardi, a partire dal periodo di ricostruzione della viticoltura dopo i danni prodotti dalla fillossera - come elemento evolutivo mutuato dalla viticoltura francese -  e diffondendosi nel XX secolo soprattutto dopo lo scandalo del metanolo. Fu una riorganizzazione della viticoltura che lasciò ai margini proprio quella parte della produzione fondata sull'economia familiare e di piccola scala che continuò invece a condurre le vigne con sistemi tradizionali come la pergola.

Se gli anni Novanta segnarono il boom del guyot (e sarebbe interessante avere il dato di quanti ettari di pergole furono allora riconvertiti),  oggi, lungi dal difendere a spada tratta un sistema piuttosto che un altro, dobbiamo riconoscere che  il cambiamento climatico in atto, con maturazioni accelerate, vendemmie sempre più anticipate e aumento dell'alcolicità dei vini, spinge quanto meno a riconsiderare tecniche agronomiche e  forme di allevamento più protettive rispetto allo stress termico e al mantenimento di un microclima ideale per la maturazione dell'uva: la pergola senza dubbio va rivalutata in questo senso, come bene hanno dimostrato i risultati di uno studio comparativo illustrati da Federica Gaiotti.

Walter Speller, introducendo la magnifica sequenza di 12 vini prodotti da vigneti a pergola in varie regioni italiane, ha parlato di "postmodernismo del vino italiano".

Abbandono delle certezze precostituite per abbracciare una visione più olistica e meno paradigmatica del vino? Quello che è certo è che la degustazione di questi vini è stata una delle più interessanti e centrate degli ultimi tempi e che la pergola, quando è parte integrante di un territorio ed è ben gestita, può dare grandi vini:

Largiller Bianco IGT Vigneti delle Dolomiti 2007 Cantina Toblino - splendida nosiola, profumata e sapida.

Monti Lessini Pietralava 2011 Casa Cecchin - l’uva durella da vendemmia tardiva e con macerazione sulle bucce dà un vino ampio e succoso, di carattere.

Soave Classico Roccolo del Durlo 2014 Le Battistelle - naso intenso di frutta tropicale, erbe aromatiche, pietra focaia; sorso lungo e verticale di grande piacevolezza.

Soave Vigne della Bra 18 mesi sui lieviti 2014 Filippi - susina, timo, bocca slanciata e avvolgente, diretto e fresco, con bella maturità del frutto.

Soave Classico Salvarenza 2013 Gini - grande complessità sia olfattiva che gustativa; un Soave di riferimento che esprime a pieno il terreno vulcanico da cui proviene, con eleganza assoluta.

Soave Monte Ceriani 2005 Tenuta Sant'Antonio - ampio ed evoluto con note ossidative che non disturbano la beva, molto spessa e succosa, di frutta tropicale, miele, zafferano.

Albana secco Santa Lusa 2014 Ancaranii -  Da pergoletta romagnola in conduzione biologica, questo vino intriga per l’austera piacevolezza della beva;  un giovanissimo vino da macerazione sulle bucce che sorprende.

Trebbiano d'Abruzzo 2013 Valentini - Vino ripido (e controverso) che si aggrappa al palato con uno slancio verticale e sapido. Vino misterioso, con note fumé che intrigano, e anche qui si vorrebbe ritrovarlo più in là nel tempo, ché ora solo accenna il suo racconto.

Alto Adige Gschleier 2015 Cantina Girlan - Rustica eleganza per questa Schiava da vigne di oltre 100 anni: trasparenze brillanti, naso speziato e fresco, beva golosa che conquista.

Valpolicella Classico Moropio 2015 Antolini - un Valpolicella di ammirevole freschezza, fiorito ( di viola e iris)  dal frutto croccante ( la tipica ciliegia di Marano). Sapido e avvolgente.

Colline Novaresi Le Piane 2011 Piane - Da vespolina e croatina,  su piede franco, allevate con la tipica pergola del luogo detta “a maggiorino”. Un vino molto interessante, originale, con il tannino in rilievo ma avvolto da un frutto rosso gustoso. 

Rosso Campania 2012 Monte di Grazia - tintore e piedirosso da un vigneto a piede franco ultracentenario danno un vino scuro in tutti i sensi, dal colore al profumo - di macchia mediterranea, tamarindo, buccia d’arancia essiccata- alla beva profonda e rustica dal lungo futuro.

La mineralità esiste?

Così si intitolava l'ultimo seminario ( con degustazione) di questa Preview del Soave. Io non starò a dirvi molto. Ne hanno discusso John Szabo MS, Alessandro Brizi e Salvo Foti ( che ha portato tre vini bianchi de I Custodi delle Vigne dell'Etna) e alla fine è apparsa una formuletta di questo tipo:

terreni rocciosi + precursori aromatici (norisoprenoidi) + PH del vino + Winemaker = Mineralità

Gli studi sono in corso, insomma. Nel frattempo, io continuo a stare tra coloro che usano l'aggettivo "minerale" il meno possibile,  perché  almeno su una cosa detta in quel seminario, concordo: è un aggettivo inflazionato e lo si usa ormai per descrivere qualunque vino,  soprattutto se non si sa che altro dirne.  Scherzi a parte, se proprio ne devo fare uso, trovo che sia  una metafora, come ha ben detto Maurizio Gily. I dodici vini assaggiati erano "minerali"? Direi che erano sicuramente "vulcanici", visti i territori di provenienza: Etna, Santorini, Tenerife, Oregon e... naturalmente Soave da garganega su pietre nere, basaltiche.

Bell'anteprima, dunque, conclusa con un sorriso, davanti a questa divertente diapositiva!.