Finché c'è Prosecco c'è speranza: un piccolo (e riuscito) giallo italiano
/Sala piena ieri sera al Cinema Kappadue di Verona per l’anteprima di “Finchè c’è Prosecco c’è speranza”, film d’esordio del trevigiano Antonio Padovan che vive a New York e con questo film ritorna nei suoi luoghi d’origine. Lo fa con un giallo, genere un po’ in disuso nel cinema italiano e dipinge - è proprio il caso di dire - un affresco nitido e riuscito del territorio veneto che ha legato le sue sorti a uno dei vini più celebri al mondo: il Prosecco di Conegliano Valdobbiadene.
Va detto: la trama del film - come del resto quella dell’omonimo noir dello scrittore veneto Fulvio Ervas - è piuttosto semplice, anche con un finale prevedibile.
E tuttavia, questa semplicità, cesellata da una sceneggiatura e una regia che mettono a fuoco la trama sullo sfondo di un territorio agricolo di grande bellezza (che punta alla candidatura a Patrimonio dell’ Unesco), si trasforma in un giallo italiano di bella fattura, declinato in un affresco corale in cui si muovono con grazia i vari personaggi.
Al centro della narrazione la figura del nobile Ancillotto, storico produttore di Prosecco che già nelle prime battute del film sintetizza la sua filosofia «Non facciamo i furbi con la nostra terra, chiedendo più di quello che può darci: meglio meno, ma meglio». Un monito attuale, ci sembra, anche alla luce dei numeri a più zeri che girano intorno al “fenomeno Prosecco”.
Suicidio misterioso, il suo, al quale si lega poi una serie di omicidi, in un noir dai toni morbidi la cui soluzione è affidata al ben piantato Stuky, ispettore di prima nomina alla questura di Treviso. Nel ruolo di quest’ultimo c’è un imperdibile Giuseppe Battiston, dall’aria svagata, ma implacabile osservatore, che rimanda, nei muoversi lento e riflessivo, a un’icona del noir televisivo italiano degli anni sessanta: Tino Buazzelli nei panni di Nero Wolfe.
Splendida la fotografia, diretta dal veronese Massimo Moschin, che inquadra le Rive del Prosecco docg, ricamate di vigneti, con scorci di Revine, Cison di Valmarino, Rolle e del Felettano, tutti adorni dei morbidi colori autunnali, a ricordare, quasi, i fondali dei maestri della pittura veneta: Giorgione, Cima da Conegliano.
Ottima la prova per tutto il cast. Battiston va efficacemente in tandem con Roberto Citran - qui nei panni dell’ispettore capo Leonardi, prossimo alla pensione - come già in un altro film dedicato al vino, “Zoran il mio nipote scemo”, ambientato nelle osmize tra Friuli e Slovenia.
Riuscitissima la prova di Teco Celio, nei panni del “matto del villaggio” che sembra cantare una Spoon River tutta trevigiana, mentre toglie la ruggine dalle tombe del piccolo cimitero di Col San Giusto, nome di fantasia eletto a simbolo degli storici borghi delle terre del Prosecco.
Qua e là, sparsi nel film, momenti di sottile e leggera comicità e piccole scene di vita quotidiana, come la partita di calcetto giocata dall'ispettore con due operai - si suppone - immigrati.
"Finché c’è Prosecco c’è speranza" è anche in parte un film veronese: oltre al direttore della fotografia, sono veronesi i produttori Nicola Fedrigoni e Valentina Zanella e la Fondazione Masi che ha sostenuto la produzione assieme a Otlav e Ecor NaturaSì.
ll film è stato realizzato anche grazie al sostegno della Camera di Commercio di Treviso e della Film Commission e del Consorzio di promozione turistica della Marca Trevigiana.
Dopo la presentazione alla Festa di Roma il 30 ottobre, sarà nelle sale dal 31.
Molto belle anche le musiche di Diego Mancino, Stefano Brandoni e Teho Teardo che saranno in vendita su I-Tunes dal 27 ottobre.
Il libro dai cui è tratto il film è edito da Marcos y Marcos e c’è pure il Diario illustrato del film scritto dal regista Antonio Padovan.
Da vedere.