L' Amarone è un angelo barocco

La quattordicesima edizione di Anteprima Amarone è ancora in corso (quest'oggi la giornata è riservata agli operatori). Sto pensando che non ne ho persa una e che la prima fu quella dell’annata 2000, a cavallo del millennio, quando fu evidente la corsa dell’Amarone nei mercati e si accesero i primi dibattiti sui modelli interpretativi del grande rosso veronese.

Oggi, di fronte a un’edizione di consolidato successo – non sono ancora disponibili i numeri degli ingressi ma non v’è dubbio che saranno considerevoli – mi fa piacere annotare alcune belle novità.

Innanzitutto, la manifestazione è stata suddivisa in tre giorni, destinati ciascuno a una diversa categoria di pubblico: giornalisti e comunicatori, consumatori e operatori, con l’agio che ne è conseguito, in termini di affluenza ai banchi dei produttori.

Non del tutto nuova, ma efficace, la prassi di affiancare all'Amarone dell’annata scelta (la2013)  una più indietro nel tempo;  in molti casi si è assaggiata quella attualmente in commercio (che varia molto -  ma questo è un vecchio discorso che ha a che fare con i tempi minimi di affinamento previsti dal disciplinare, visti come sufficienti o meno, a seconda dei casi -).  Non è superfluo ricordare che, mentre stiamo assaggiando “in anteprima” l’annata 2013, (83 vini di cui il 60% ancora in botte), sugli scaffali si può già trovare in vendita la 2014.   D’altro canto, si sono assaggiati Amarone 2013 che andranno in bottiglia nel 2020 o già di lì.  Confusione o varietà? Scegliete voi.

La terza e a mio parere ottima scelta (grazie alle care Olga Bussinello e Federica Schir del Consorzio) è stata quella di accorciare notevolmente l’evento di apertura, affidando a supporti digitali tutte le relazioni tecniche ed economiche, utili a descrivere l’annata e l’andamento dei mercati.

Segnali positivi, comunque, con l’Amarone che viaggia verso i 16 milioni di bottiglie e i produttori sempre più convinti ad intraprendere percorsi di sostenibilità nella viticoltura.

Nello spazio riservato alle degustazioni, con servizio dei bravi e professionali Sommelier di AIS  Verona e già aperto dalle 9,30,  mi sono limitata ad assaggiare la trentina di Amarone già imbottigliati. Quattordici edizioni sulla groppa sono molte e sono servite a farmi desistere dall’assaggiare in batteria le prove da botte, riservandole al momento della chiacchierata con i produttori ai banchi, dove ci si può far raccontare come hanno vissuto l’annata e la produzione.  

Ritornando all’evento d’apertura, ecco l’ultima bella novità: l’intervento di Philippe Daverio che ha intrattenuto il pubblico condensando in pochi minuti tutta la storia del vino in Europa e ha descritto il senso e il valore dell’Amarone,  come espressione dell’italianità e delle sue eccellenze – come la moda il design, il buon cibo e il patrimonio artistico -.

Io non so voi, ma io ancora oggi mi gusto su Rai 5 alcune repliche di Passepartout, la trasmissione in cui per anni Daverio ha raccontato l’arte con finezza, ironia e un'incredibile capacità di affabulazione.

E dunque, sabato scorso, l’Amarone è divenuto il vino nella coppa del Bacco di Caravaggio, il vino della cena di Paolo Veronese “che ha dipinto per la prima volta un sommelier” e, almeno per me, anche un angelo barocco, con una citazione che probabilmente sarà sfuggita a molti, dato che Daverio l’ha quasi sussurrata, poco prima che il giornalista Andrea Scanzi,  investito del ruolo di discepolo, più che di moderatore, gli rivolgesse una bella domanda: «Professore, se l’Amarone fosse un’opera d’arte, quale sarebbe?» -  «Penso al Barocco» ha risposto Daverio «dove c’è il tanto, a volte il troppo, che tuttavia non basta mai»

Di sovrabbondanze barocche, nell’Amarone ne avvertimmo molte, soprattutto nelle prime edizioni dell’ Anteprima: ricordo lingue asfaltate da alcol, tannino e talora anche da quasi invadenti residui zuccherini. Erano barocchismi opulenti, come di certi altari marmorei, o architetture.

Poi si è fatta avanti l’idea che l’eleganza e la finezza fossero carte da giocare. 

Daverio a un certo punto, quasi in modo impercettibile, ha pronunciato il nome del Brustolon.

Andrea Brustolon fu uno scultore e intagliatore nato a Belluno nel 1662. Non so quanti abbiano visto opere sue.  Ho avuto la fortuna di visitare una bella mostra che la sua città gli dedicò nel 2009. Ebbene, fui folgorata dalla aerea bellezza di alcuni angeli dorati e biaccati che erano appesi in alto, sopra le teste dei visitatori. Barocco come virtuosismo, certo, e ricerca di una perfezione formale, ma anche espressione potente di una materia che brilla nello spazio e nella luce.

Ecco, trovo che l’Amarone brilli ora come un angelo barocco del Brustolon, interprete sommo della scultura lignea nel Veneto, che Balzac definì “Michelangelo del legno”.

C'è ora una  sostanza  sempre più elegante e ben espressiva nello spessore di questo vino, un nettare che lega cielo e terra, tradizione e modernità.

Insomma, cari lettori, questa ha proprio l'aria di essere la più bella edizione di Anteprima Amarone vista fino ad ora.

Cantine Monfort: Trento ma non solo.

Mi è piaciuta molto questa piccola realtà di Lavis (Tn). Racconta una storia familiare  del far vino di parecchi decenni  e c'è, soprattutto,  un'idea molto nitida del futuro che Lorenzo Simeoni ha affidato ai figli Chiara e Federico. La cantina ha dimensioni e soprattutto l'anima da "garagisti": struttura essenziale, semplicità, per una produzione di circa 220.000 bottiglie di cui 25.000 di Trento. (Trentodoc). Agli inizi di luglio la famiglia Simeoni ha aperto le porte della cantina in occasione della 20^ edizione di Porteghi e Spiazi, manifestazione enogastronomica nel centro di Lavis ed è stata l'occasione per assaggiare l'intera produzione di Metodo Classico.

Essenziali e ben centrati sulla finezza i Trento (ho smesso da un pezzo di scrivere Trentodoc - marchio disorientante - per scrivere semplicemente Trento come sinonimo di Metodo Classico trentino).  Chardonnay allevato sulla dolomia delle colline di Trento e pinot nero sul porfido di Pergine Valsugana danno un bell'insieme di sapidità ed eleganza a tutta la gamma.  

Molto piacevole e di bel carattere il Trento Brut Rosé ( 50% ch - 50% pn) e di gran bella stoffa il Trento Brut Riserva, dove prevale lo chardonnay per l'80%.  Quest'ultimo è stato assaggiato nelle tre annate fino ad ora prodotte: 2008 - 2009 - 2011, sia nella versione non dosata, sia nella versione brut. La mia preferenza è andata  al 2009 (annata in commercio)  che si è mostrato ampio, avvolgente e saporito nella versione dosata, ma ancora più convincente è stato quello sboccato alla volée, dalla vena citrina freschissima e con un'ottima persistenza. I Simoni credono molto nel loro Trento Riserva come sinonimo di longevità e mi auguro che lo producano (anche) in versione "zero". 

Per la verità un Metodo Classico non dosato le Cantine Monfort lo fanno già, ma con alcune uve autoctone che sono tra i pochissimi a coltivare,  sulle colline terrazzate di Serso e e Viarago, nelle vicinanze di Pergine Valsugana. Valderbara, vernaza e nosiola sono le varietà assemblate nel Blanc de Sers, un Metodo Classico corto (9 mesi sui lieviti, dice la scheda tecnica, ma l'ultima annata ne farà 12). Un vino decisamente interessante, con una delicatezza aromatica al naso assai invitante, quasi dolce (con fieno e mela renetta in evidenza) e un palato fine e molto sapido. Curiosità finale: il Blanc de Sers viene prodotto anche in versione ferma (ho assaggiato l'annata 2014) e mi è piaciuta molto. Chicche, insomma, che vale la pena scoprire.

 

 

 

Colfondo a 5 sensi con Karen Casagrande e i Madeleine Royale

La bella foto scattata da Margherita Grandin fissa un attimo del bellissimo spettacolo andato in scena domenica 19 giugno al Teatro Metropolitano Astra di San Donà di Piave. S'è apprezzato come una pietra preziosa incastonata in una giornata interamente dedicata al Prosecco col fondo e ai vini rifermentati in bottiglia, dal titolo "Colfondo va in scena"

Sul palco il gruppo musicale Madeleine Royale con:

Karen Casagrande: voce,  voce narrante, percussioni
Enrico Borsoi: voce e chitarra acustica.
Sonia Barbon: voce e violino.
Daniel D’Andrea: basso elettrico e chitarra classica.

Mettono insieme, questi bravissimi professionisti, musica, degustazioni di vino e racconto teatrale. Si può ben dire che ci abbiano regalato uno spettacolo a dir poco emozionante, a tratti commovente,  traboccante di suggestioni, evocazioni, colori e suoni.

Indimenticabili.

Ho vissuto dentro un racconto che vorrei intitolare  Colfondo Dreams (in corsivo le citazioni dal testo teatrale, per gran parte improvvisato da Karen)

Nel buio della sala appare  sullo schermo una bottiglia - clessidra. Come sabbia fine i granelli di lievito scendono sul fondo. Colfondo, vino che vuole tempo e che devi attendere. 
“Il Colfondo è uno di quei vini che si devono raccontare come se avessimo degli occhiali a 4D, vini che nelle loro sfumature abbracciano storie e dimensioni parallele”.
Mi torna alla mente lil primo bicchiere di Prosecco col fondo che assaggiai a Mantova, da una bottiglia "sciabolata" dall’oste Mauro Lorenzon. Era il 2009 e rimasi Incuriosita e perplessa davanti al mistero di quel vino sapido, torbido, fresco, che non mollava il mio pensiero, benché fosse assolutamente fuori dai miei parametri di giudizio.
"C’è un desiderio, nascosto in questo vino, nella sua torbidità, nella sua bollicina delicata e rustica al tempo stesso… quello di voler imbrigliare le uve del proprio vigneto senza alterarle, lasciando che il vino segua il suo corso anche durante la fermentazione, con un po’ di ingenuità e di incertezza, di fiducia e di coraggio, per togliere ogni impronta di omologazione e lasciare che la natura di anno in anno… parli.” AscoltoThe heart of Life di John Mayer  e i ricordi affiorano: i produttori incontrati tra le vigne, una bottiglia stappata a tavola mentre ti raccontano bellezze e difficoltà del loro lavoro.  Alcuni li intervista lì,  sul palco, Jacopo Cossater e sono anche i protagonisti del video che scandisce il susseguirsi di testii e musica. Ma il protagonista principale è il territorio, fatto di terra e rive, filari, foglie tralci, grappoli. Storie di luoghi e persone intessono la trama di un vino unico.

Se il  Colfondo fosse una musica -  racconta Karen - sarebbe una ballata popolare come “La bella la va al fosso". Chè è un vino “da farci due parole insieme”,  e saranno anche parole d’amore, quelle deii vecchi tempi, di una vita contadina dimenticata.
Dai che mi fate piangere,  voi dei Madeleine Royale, attaccando come una smisurata preghiera Scarbourogh Fair di Simon e Garfunkel. Ricordo campi di papaveri e fiordalisi, la vigna dietro casa...un solo filare e in un ottobre ancora assolato mi fecero anche pigiare l’uva con i  miei piccoli piedi. 

“L’immagine del lievito che si rianima quando si fa la prima luna di primavera ha un fascino indescrivibile. Non si diceva forse Aprile dolce dormire?? In ogni bottiglia invece è tutto un fermento… nel vero senso della parola.. Piccoli universi chiusi, tappati e lasciati ad esistere per proprio conto.  Perché ogni bottiglia è un mondo a parte, con le sue leggi e i suoi movimenti”.
Mi ritorna alla mente #Colfondo1 ad Asolo nel 2010. Fu la mia prima degustazione seria nonché seriale di Prosecco Colfondo. Cominciavo ad approfondire tutto quel fermento nelle bottiglie.
Dentro ci vedevo solo accenni allora….il flusso del tempo, il risveglio della primavera, la luna con le sue fasi. E il futuro mi avrebbe messo davanti sempre nuove bottiglie, sempre uniche, ciascuna con dentro un piccolo universo. E la magia della luna ha le note di Moon over Burbon Street di Sting. Brividi.

 “Ogni bottiglia ha un’anima fatta di polvere, una polvere che ha vissuto e che imprime la vita nel vino”.  Colfondo: una concentrazione d’anima sul fondo! Ecco l'immagine e il senso che mi mancavano. E mentre partono le note di Across the universe dei Beatles, vorrei averne una bottiglia per cantare pure io.

 “C’è un detto popolare che dice: meglio il vin torbido che acqua chiara. Qua no se scherza.” attacca Karen e ti conduce a ritrovare le sensazioni che si liberano ogni volta che il Colfondo lo bevi!   Profumi intensi e pro-fondi, di crosta di pane, di bacca,talvolta di spezie. “Forse quel torbido nel bicchiere è impazienza allo stato liquido”… Altra immagine che scolpisce l'essenza di questo vino. Ma poi lo gusti, quel sorso, e ti regala sensazioni gustative che ballano tra loro: fresco, morbido, sapido, a volte acido e poi di nuovo fresco e sapido e morbido. Una danza che sembra non doversi fermare più come in Libertango di Astor Piazzolla.

Ma tu, il Colfondo, lo bevi decantato o torbido, dalla bottiglia? "Mario Rigoni Stern disse: I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo” racconta Karen. E se i ricordi me li volessi bere? E se volessi bere per non dimenticare? Io non lo decanto il Colfondo e tu sembri saperlo, quando mi soccorri dicendo “Anche lasciati sul fondo i ricordi hanno lasciato il loro segno… ad ogni sorso c’è un granello di polvere che rimane nella bottiglia. Ora non è altro che un ricordo nel vento”. Vai con Dust in the wind dei Kansas  così, ad ogni canzone e con un sorso di Colfondo, ritorno indietro nel tempo.  

Il Colfondo è un vino che parla delle stagioni, di casa, di attesa.
 “E il tempo di congela e sembra di sentir tutto del vino: il lievito che lo fermenta e l’uva che sta ancora maturando lì appesa alle viti, le erbe del campo appena bagnate dalla rugiada alla mattina, i sentori del focolare acceso ai primi freddi autunnali"… . L’estate è il tempo dell’attesa, e deve giungere al termine per inaugurare le prime bottiglie… e così via…Passano le stagioni e questo vino si consolida nel tempo, non bisogna avere fretta di assaggiarlo dopo averlo imbottigliato, ci deve essere un tempo di attesa, anche quando poi lo si assaggia, lasciando che gli aromi si aprano e si confondano”. Hai detto tutto Karen, brava e, con te, bravi  gli amici che ti accompagnano. Mi lascio andare al fluire dei ricordi in questa fredda domenica. Speriamo che arrivi l’estate - (sulle note di Summertime).

Un grazie di cuore ai componenti del gruppo Madeleine Royale, a Patrizia Loiola, splendida ideatrice della giornata,  ai giovani dei progetti “Start up your talent” e “Unsexpressed Talent”  che si sono preoccupati dell’organizzazione,  ai Sommelier di Fisar San Donà che hanno servito durante le degustazioni,  ai cari amici dell’ enomondo: Jacopo Cossater, Fabio Giavedoni, Ganpaolo Giacobbo ed Andrea Bezzecchi, e naturalmente, ai produttori di Prosecco e degli altri vini rifermentati in bottiglia, presenti con i loro vini. Colfondo Forever!

Radici del Sud: un mosaico complesso e affascinante

L’11ª edizione di Radici del Sud, il Salone dei vini meridionali da vitigni autoctoni che si è tenuta a Bari dal 7 al 13 giugno scorso,  si è chiusa con un bilancio importante:  sono ben 80 i vini premiati su 432 in concorso, prodotti da 183 aziende (23 siciliane, 18 calabresi, 16 lucane, 32 campane e 94 pugliesi).

La giuria, composta da esperti del settore in gran parte esteri e provenienti da tredici Paesi,  è stata suddivisa in commissioni formate rispettivamente da giornalisti e buyer. Ciascun vino è stato degustato e valutato, quindi, da due commissioni parallele e questo spiega sia il cospicuo numero dei premi assegnati, sia le diverse scelte (vedi qui tutti i riconoscimenti e la composizione delle giurie).

La commissione “ giornalisti 1” di cui ho fatto parte, si è trovata di fronte a tipologie di vini molto interessanti; alcune rappresentavano una novità rispetto alle edizioni precedenti, come la tipologia spumanti e quella dei vini da varietà autoctone meno conosciute.

Questa esperienza è stata per me una bella occasione per conoscere l’insieme della produzione enologica del Sud: un panorama articolato e sicuramente meritevole di approfondimenti ulteriori.

Al ritorno ho portato con me la sensazione che Radici del Sud ha mi abbia introdotto a una realtà vitivinicola in fermento: ho assaggiato molti vini eleganti e con personalità e ho incontrato produttori con chiare idee in testa: molti di loro sono giovani e preparati.

Qualche considerazione sui vini degustati:

ho trovato molto interessanti gli spumanti, sia bianchi che rosati, in particolare alcuni Metodo Classico da bombino bianco, caprettone, negroamaro, aglianico;

mi è piaciuto molto assaggiare la serie dei Negroamaro, in molti casi ho apprezzato vini eleganti e gustosi ( mi sono toccati però soltanto i rossi e non i rosati);

il Nero di Troia è la mia scoperta di questa edizione: l'ho assaggiato  in molte sfumature e molto apprezzato; ho trovato  espressioni di grande freschezza e finezza che proprio non mi aspettavo, quindi penso che questa varietà meriterebbe maggiore attenzione;

nella mia commissione è stato piuttosto ristretto il numero dei campioni dei bianchi (monovarietali) ho assaggiato alcune buone espressioni di Falanghina, Catarratto, Grillo;

nella nuova categoria dei vini da varietà autoctone minori ho potuto assaggiare vini particolari, prodotti, ad esempio, con fiano minutolo, grecanico, susumaniello, malvasia nera di Lecce, magliocco canino, greco nero, perricone: il tutto sarà meritevole di ulteriori assaggi e soprattutto di studio; rientravano in questa categoria anche alcuni interessanti vini siciliani prodotti da nerello mascalese e nerello cappuccio;  nel complesso, però, la denominazione Etna doc, che gode oggi di grande appeal,  era poco rappresentata.

Da Radici del Sud – due giornate piuttosto intense con un centinaio di assaggi alla cieca ciascuna e l'evento finale aperto al pubblico – porto a casa sicuramente un arricchimento professionale unico, ma non solo. Anche se non ho partecipato alle giornate del press tour che hanno preceduto il lavoro delle giurie, ho avuto comunque l’occasione di conoscere colleghi di diversi Paesi e di scambiare opinioni.  Ci siamo trovati d’accordo sul fatto che la realtà vitivinicola del Sud è un mosaico affascinante, ma anche molto complesso, che non sempre è facile da comunicare.

Il grande lavoro degli organizzatori di Radici del Sud - che ringrazio-  di tutti coloro che ne hanno sostenuto l’impegno, i produttori in primis, contribuisce in modo egregio a far conoscere questo mosaico; non è più il tempo dell’immagine stereotipata dei vini meridionali “ pesanti, alcolici, poco fini”. Insomma, c’è tutta un’altra storia da raccontare.